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Testimonianza di Giuliana da Soweto

UN'INQUIETUDINE CHE SPERO NON PASSI MAI

La testimoniana di Giuliana di ritorno dal Kenya

Come sempre quando torno dall’Africa, mi rendo conto di aver imparato un sacco di cose. La mia esperienza è stata breve, ma ho vissuto tutto il tempo che avevo a disposizione intensamente, mi sembrava che le giornate durassero il doppio del normale! La mia Africa è stata quella di Soweto, una baraccopoli che si trova a circa un’ora e mezza da Nairobi…che a volte diventano anche tre date le difficoltà e i tempi per lo spostamento…lì la vita assume un significato diverso, il concetto di normalità cambia e tutto si rapporta all’idea della sopravvivenza e di come fare a procurarsi da mangiare ogni giorno. Quando si parte per l’Africa ci dobbiamo un po’ lasciare alle spalle la nostra quotidianità per accogliere un’idea di vita che sia per una questione culturale, sia per il grande divario sociale tra nord e sud, è completamente diversa dalla nostra. Quando sono arrivata, l’impatto è stato forte: Soweto è circondata da una discarica in cui bambini giocano e l’odore è insostenibile.

Camminando per le strade della baraccopoli, mi ha colpito subito il fatto che la gente ci salutasse calorosamente nonostante non ci conoscesse, ci guardavano perché eravamo bianchi e mi sono resa conto dai loro sguardi che in noi ripongono molte speranze. Nonostante le strade fossero attraversate dalla fogna, maleodoranti e poco praticabili, presto mi sono diventate familiari e ho iniziato a trovare assolutamente normale andare da una parte all’altra di Soweto. La gente iniziava a riconoscermi e io a riconoscere i volti di ciascuno di loro, quei volti rimarranno per sempre nella mia mente, come tante tappe attraversate che presto vorrei ripercorrere. La parte più bella della mia esperienza l’ho vissuta proprio nella baraccopoli, precisamente presso la comunità di Baba Yetu, dove vivono i volontari della Papa Giovanni XXIII e alcuni ragazzi del posto accolti dalla comunità. Ognuno di loro ha una storia difficile e diversa alle spalle, tutti una forza incredibile con cui lottano per sopravvivere.http://www.lafricachiama.org/images/stories/casafamigliakenya.jpg

Mi sono fermata spesso a pensare alla mia vita e alla loro e sinceramente ho capito che la storia di ciascun bambino aveva tanto da insegnarmi: Abi che a soli 1 anno e mezzo ha imparato ad essere una bambina autonoma, che sa mangiare da sola e poi tornare a casa anche se a volte la mamma non c’è e magari deve rimanere fuori. Abi sembra perfettamente cosciente del fatto di doversela cavare da sola per vivere. Didier e Karine, una coppia di rifugiati politici scappata alla guerra civile in Congo che spera di poter ricominciare in Kenya una vita lontano dalla guerra e dalla persecuzione. Katrine che pur non avendo le braccia ha iniziato una piccola attività commerciale, grazie alla sua estrema forza di volontà e, soprattutto, grazie alla sua grande dignità! Quando penso a queste meravigliose vite, la mia, fatta di tante cose, alcune delle quali completamente inutili, mi sembra così piccola! Forse quello che a noi manca è la capacità di riconoscere le cose davvero importanti da quelle che lo sono meno, il valore che possono avere le cose per noi semplici che altrove sono indispensabili! Il vivere in maniera “dignitosa”, questo ci manca!!

Noi siamo occidentali ed è in parte normale vivere nel modo in cui viviamo, ma è davvero tutto giusto? É giusta l’ansia con cui facciamo le cose? Io da quando sono tornata, ne un’altra di ansia: è una strana inquietudine data dall’aver visto un mondo nuovo e diverso da cui imparare tanto. È l’ansia di sapere cosa c’è dall’altra parte. Credo che sia un’inquietudine positiva, che permette di guardare avanti con una prospettiva diversa e più sana, è quell’inquietudine che mi spinge a  migliorare ogni giorno! Facciamo tutti parte di un disegno più grande, il nostro mondo non è fatto solo da quelle piccole certezze per noi indispensabili che non vanno al di là del nostro piccolo raggio vitale. Il nostro destino e quello di Abi, di Didier, di Katrine si intrecciano quando si parla dei sentimenti, dei valori e della cultura che accomunano civiltà apparentemente diverse tra loro, perché non siamo poi così diversi o così lontani. È troppo pensare di poter cambiare il mondo, ma se riuscissimo a pensare “in grande”,  le distanze tra loro e noi si accorcerebbero e il divario sociale che ci fa sembrare così diversi, si ridurrebbe. Ogni giorno spendiamo tante energie senza neanche la consapevolezza di quello che stiamo facendo, ma mai ci sfiora l’idea di rinunciare ad una piccola parte di noi per condividere quello che siamo con chi è “dall’altra parte”. In fondo al mio cuore spero che quest’inquietudine non passi mai ma che, invece, si trasformi in qualcosa di sempre più concreto!

Giuliana Bianco - baraccopoli di Soweto - Nairobi Ottobre 2009

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