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L'AFRICA CHIAMA ONLUS ONG - Via Giustizia , 6/D - 61032 Fano (PU)

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Zambia: un viaggio attraverso il valore del tempo, dell’inclusività e della speranza - Il racconto di Maria

-Nascere dalla parte giusta del mondo è solo questione di fortuna.-

Qualche mese fa, ho sentito il profondo bisogno di prendermi del tempo, tempo per me, per respirare, esplorare e cambiare. Ho deciso quindi di prendere una pausa di 3 mesi di aspettativa.

Quando mi sono trovata di fronte a un foglio bianco su cui potevo scrivere qualsiasi cosa volessi fare durante quel tempo a disposizione, sono stata colta dalla paura di dover scegliere tra milioni di opzioni e desideri. C'era una sola cosa su cui ero certa e che ho sempre saputo: volevo dedicare la parte più significativa del mio percorso all'Africa. Così, mesi prima, sono entrata in contatto con "L'Africa Chiama".

L’Africa Chiama è un’organizzazione umanitaria che opera dal 2001 per accendere i riflettori sul continente più dimenticato ed oppresso e per restituire ai bambini africani la loro infanzia negata e violata. Si prende cura ogni giorno di oltre 21.000 bambini e ragazzi in grave difficoltà in Kenya, Tanzania e Zambia, garantendo cibo, istruzione e cure mediche.

Dopo un corso di formazione, sono partita il 1° Febbraio per un’esperienza di volontariato in Zambia. Proprio qui, a Kanyama, quartiere più popoloso e pericoloso della capitale Lusaka, l’associazione ha costruito il Centro Shalom composto da 3 anime: la scuola, una piccola clinica e una struttuta dedicata alla maternità.

Così, ogni mattina, iniziavamo la nostra giornata camminando chilometri per raggiungere il Centro Shalom attraversando le strade sterrate e allagate del villaggio. Il terreno arido e i crateri lunari rendono i trasporti piuttosto complicati in questa zona.

Purtroppo, i primi giorni la scuola era chiusa a causa di un'epidemia di colera. Ho dedicato quindi gran parte del mio tempo al progetto “Educare”, che coinvolgeva 50 bambini con disabilità seguiti e supportati dall'associazione in ogni loro necessità, come le spese scolastiche, il trasporto, i kit igienici, la fisioterapia e gli strumenti di supporto per la disabilità (sedie a rotelle, stampelle, deambulatori, ecc.). Periodicamente, la fisioterapista che collabora con l’associazione si reca a casa dei bambini che fanno parte del progetto per valutarne i progressi.

Durante queste visite domiciliari, ho avuto l'opportunità di conoscere bambini straordinari come Esnard, una ragazza con spina bifida, un bellissimo vestito giallo a fiori e grandi sogni di diventare una dottoressa. Poi c'era Regina, una bambina autistica, con i suoi occhi dolci e persi nel vuoto. Oppure Frederick che ci ha mostrato i suoi progressi nel camminare da solo e ci ha spiegato che vuole diventare un giornalista per raccontare il suo contesto sociale al mondo. Mi sono imbattuta in famiglie che vivono in condizioni di estrama povertà, con case fatiscenti e senza cose per noi normali come acqua, elettricità e un bagno. A peggiorare le cose, la disabilità è vista come una maledizione, un tabù, un qualcosa da nascondere, e questo porta le condizioni dei bambini e delle famiglie a peggiorare ulteriormente. Ma ogni incontro è stata un'esperienza unica, in cui ho potuto toccare con mano la forza e la determinazione di questi piccoli eroi.

Dopo qualche giorno, la scuola ha riaperto ed è stata invasa dai suoi 1.400 studenti, dal primo al dodicesimo grado (elementari, medie e liceo). Per la ripartura è stata organizzato un iniziale momento di raccolta e ho visto questo fiume di bambini e ragazzi, fieri nella loro divisa, cantare l’inno zambiano.

Ma è stato nelle classi speciali che ho incontrato il cuore pulsante della speranza. Se c’è una cosa che contraddistingue la Shalom School è infatti l’inclusività: si tratta dell’unica struttura scolastica della capitale frequentata anche da bambini e bambine con disabilità. Quando possibile, i ragazzi vengono integrati nelle classi ordinarie per promuovere la loro partecipazione sociale e rompere lo stigma contro la disabilità. Esistono poi 4 classi speciali dedicate e attrezzate per bambini con disabilità intellettive, visive e uditive. Qui ho avuto l’opportunità di conoscere i miei piccoli amici, come Charles, bambino con la sindrome di Down, talmente pieno di energia che ho passato ore a rincorrerlo per tutta la scuola. Elisha, con il suo spettro autistico, non parlava molto, ma si faceva capire tra abbracci e sorrisi. Vivian, invece, era la regina dei selfie, e Catherine una delle poche che riusciva a scrivere il suo nome e cognome. Aveva le treccine adornate con perline gialle e azzurre, e ogni volta che la guardavi, ti rispondeva con un sorriso. Ogni giorno, questi bambini mi hanno insegnato a vivere nel momento presente e a trovare la gioia nelle piccole cose.

Una mattina, mi sono intrufolata nella classe dei bambini sordi e ho assistito a una lezione avvolta da un silenzio apparentemente ovvio, ma che in realtà dentro di me faceva molto rumore. Ho cercato di imparare a comunicare qualcosa con il linguaggio dei segni, e le bambine più grandi mi hanno mostrato i loro libri per aiutarmi ad imparare.

La maestra si chiama Matildah, ha 24 anni, un sorriso bellissimo ed è molto timida. Si è seduta accanto a me e abbiamo iniziato a scriverci su un foglio per poter comunicare. Mi ha raccontato la sua storia e ha elencato orgogliosamente tutti i nomi dei suoi piccoli alunni. La guardavo, ma non potevo dirle niente, potevo solo scrivere e cercare di imparare il suo linguaggio.

Me ne sono andata portando con me quel foglio che ho continuato a guardare durante tutto il giorno.

Ho avuto anche la possibilità di assistere alle lezioni in Braille e sono rimasta sbalordita dall’abilità dei ragazzi.

Iniziano con la matematica, utilizzando una sorta di scacchiera con dei buchi in cui inseriscono dei piccoli dadi rossi. Girano tutte le facce del dado tra le dita finché non trovano il numero desiderato. Comprendere i numeri in Braille è ovviamente molto difficile, scrivere in Braille forando i buchi presenti su un cartoncino lo è forse ancora di più. Il meccanismo consiste nel creare rilievi sulla carta forando i punti corrispondenti alla scrittura Braille.

Mi ha anche colpito molto la dolcezza del professore, anziano e con la vista solo da un occhio. Ci ha raccontato che prepara le lezioni e gli esercizi a mano ogni sera. È assurdo che non esista un altro modo e che non abbiano a disposizione strumenti che possano rendergli la vita più facile, come una semplice stampante Braille.

Durante la mia esperienza in Zambia, ho sperimentato un mix di emozioni contrastanti. Ho provato gioia e gratitudine per le piccole cose che rendevano speciale ogni giorno, ma anche tristezza e rabbia per le ingiustizie e le difficoltà che ho visto intorno a me.

È profondamente ingiusto abusare di una bambina di 6 anni che ora deve vivere in un rifugio segreto, con gli occhi spenti e spaventati. E’ ingiusto che un bambino di 10 anni non possa andare a scuola e non abbia nulla da mangiare se non quei 4 biscotti che gli dai di nascosto. E’ ingiusto che Mercy e Davison, due bambini con disabilità che ho conosciuto durante le visite, vivano in una stanza di soli 5 metri quadrati, senza carrozzina per muoversi, mentre la madre è alcolizzata e maltrattata, e nessuno faccia nulla per aiutarli. E’ ingiusto che la disabilità sia ancora vissuta come un tabù, una maledizione da nascondere in casa. E’ ingiusto aver visto tutte queste famiglie e case prive di elettricità, acqua, servizi igienici, privi dei diritti fondamentali per una vita dignitosa.

Durante questo viaggio, ho riflettuto sulle disuguaglianze nel mondo e sulle responsabilità che abbiamo come individui privilegiati nel contribuire a un cambiamento positivo. Ogni gesto di solidarietà, ogni donazione, ogni voce che si leva in difesa dei meno fortunati contribuisce a creare un mondo più equo e inclusivo per tutti. Mi sono trovata a confrontarmi con una realtà che ha scosso le mie fondamenta e risvegliato in me una profonda consapevolezza: nascere dalla parte giusta del mondo è solo questione di fortuna.

Ho avuto il privilegio di incontrare bambini il cui sorriso brillava più del sole. Tuttavia, dietro quei sorrisi luminosi, si celava una realtà fatta di sfide, privazioni e disuguaglianze. Ma non tutto è perduto. Ho visto anche segnali di speranza e resilienza. Ho incontrato individui straordinari che, nonostante le avversità, lottano ogni giorno per un futuro migliore per i loro figli. Ho visto organizzazioni, insegnanti e volontari che lavorano instancabilmente per fornire educazione, assistenza sanitaria e sostegno alle famiglie più vulnerabili.

Nel mio cuore, continuerò a custodire i sorrisi dei bambini che ho incontrato lungo il mio cammino, perché sono loro che mi ricordano ogni giorno il potere rivoluzionario dell'amore e della solidarietà. E mentre guardo al futuro, lo faccio con la speranza che un giorno ogni bambino, ovunque nel mondo, possa avere la possibilità di realizzare i propri sogni, libero dalla morsa della diseguaglianza.

Maria Tomassetti volontaria in Africa, Kanyama Zambia (febbraio 2024)

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