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L'AFRICA CHIAMA ONLUS ONG - Via Giustizia , 6/D - 61032 Fano (PU)

Tel. e fax 0721.865159

Sono le persone le vere cose che restano.

Baba Yetu è una casa. É una casa senza terrazzi, senza TV, senza frigo e senza fornelli, ma ha una cucina, una sala da pranzo, camere, bagni. É la casa di MY FOOD, che adora mangiare, di SAMSON, che gli piace studiare, di SAMUEL, che per le grandi occasioni vuole indossare la sua giacca nera elegante , di ROBINSON, che è felice perché anche suo fratello KEVIN è uscito dalla strada e adesso abita lì con lui, di MACHARIA, che proprio non gli piace lavare i suoi panni. É anche la casa di GEORGES, che suona la chitarra, di STEVEN, che appena può accende a tutto volume la radio, di WAMBUY E LUCY, che amano farsi belle e stare con le amiche, di EDITH, che cerca di aiutare gli altri e di VIOLET E GIACINTA, che devono pensare ai loro piccoli STANO E THERESINA.

Per tutti loro, BABA YETU non è una casa, ma è la loro casa. Poi ci sono MARTINA, AYUB, MUNICHI e ANTONIO, che si comportano con tutti questi ragazzi come se fossero i loro figli; allora come ogni genitore : Martina prepara loro il pranzo, Ayub gli insegna a pregare, Antonio gli insegna a lavorare come i grandi, Munichi gli aiuta negli studi e li fa sentire protetti la notte. Poi ci sono ELISA, la referente attuale di Baba Yetu, FRANCIS, che è ritornato dall'Italia a Baba Yetu, dove lui è cresciuto, con sua moglie ELISA per trascorrere le ferie estive , MASSIMO, che vive qui ormai da quasi dieci anni e FEDERICA e ANDREA, i responsabili dei vari progetti in Kenya , che vivono al “New Building” o “Social Center” con LUCY e con i RAGAZZI della SHAMBA e i BAMBINI dell'asilo nido. Oltre a seguire tutti questi progetti , ogni giorno si trovano di fronte file e file di persone, dove ogni persona è la storia unica di una o più vite. Per loro, forse BABA YETU è una scelta coraggiosa, dove il coraggio non è saper dire sì o no, ma chiedersi sempre il “perché” di ogni cosa . Poi ci sono “BABU”, che ama stare con Antonio, “padre WILLIAM”, che forse vorrebbe fare il sacerdote e dà la benedizione a tutti ogni mattina. Poi ci sono GRACE e i suoi due fratellini, che hanno perso la mamma da poco. Poi ci sono DIANE, detta “Polpetta”, GHIDION, ROSEMARIE, GILBERT, PURITI e la piccola ABI. Sono sei fratelli che vivono con la loro mamma lì vicino. Per tutti loro, BABA YETU non è una casa, ma vorrebbe essere la loro famiglia.

Rosemarie non sa quanti anni ha, sa solo che si prende cura di Abi, la sua sorellina più piccola. La porta in spalla con lei, si accorge se non sta bene, l'accompagna in bagno, le dà da mangiare ogni giorno per colazione, pranzo e cena, un boccone lei e uno alla sorella, come se fosse la mamma. PURITI e GHIDION amano fare i dispetti e saltare addosso a Samuele, a “Polpetta” invece piace sedersi sulle mie ginocchia e guardarmi. Lei mi guarda e io la guardo. Le nostre serate passavano così, ma il tempo adesso nel ricordo mi passa così velocemente che mi manca quel tempo, il nostro tempo insieme. Ti piaceva giocare con la mia pila, puntarmi la luce agli occhi, oppure fare nodi infiniti ai cordoncini della mia felpa, ma la cosa che di gran lunga preferivi erano i miei occhiali da vista. Li guardavi per un po' , li indossavi, anche se te li sistemavi al rovescio, ridevi quando li rimettevi sulla mia faccia. Con o senza occhiali le nostre facce appartengono comunque a mondi diversi, hanno un colore diverso, però io e te nonostante questo riusciamo a parlare, perché anche se non ci capiamo con la lingua, noi parliamo con gli occhi. Lo so, avrei potuto regalarteli quegli occhiali, forse mi chiedevi questo e io non l'ho capito, scusami . In fondo, per te, quelli come me e Samuele arrivano e lasciano sempre qualcosa; anche noi ti abbiamo portato caramelle, vestiti, e per questo, secondo te, io potrei lasciarti anche i miei occhiali. Ma non è per niente uno scambio equo. Ogni cosa che noi possiamo lasciare non è mai come quello che Baba yetu ci regala. Sono le persone con cui viviamo per tre settimane, mesi o anni le vere cose che ci rimangono, perché ci insegnano a guardare, per questo noi metteremo sempre i loro occhi in ogni cosa che guarderemo nella nostra vita.

Samuele Micheli e Silvia Mercantini - volontari a Soweto -  Nairobi Agosto 2009

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Testimonianza di Anita Manti - 2007

Lettere di Anita di ritorno dal Kenya

Ferragosto a Soweto
Quest’anno ho deciso di trascorrere le mie ferie estive in Kenya, destinazione Soweto, una baraccopoli di circa 8 mila persone alla periferia di Nairobi.

Vivere a Soweto, cosi come nelle altre 100 baraccopoli di Nairobi, non è facile. La gente vive alla giornata, di lavori sporadici, chi vende le banane, chi lava panni, chi cuoce e vende le pannocchie per strada, piccoli lavori insomma che permettono loro di guadagnare qualche scellino per mangiare.

Cammini per le strade di Soweto, tutto fango quando piove, e vedi bambini che giocano a calcio o saltano la corda a piedi nudi e le bambine di circa 5-6 anni che vanno a prendere all’asilo i fratellini di due anni. Ti vedono da lontano, ti corrono incontro, sperando in una caramella o in un biscotto. All’inizio sei per loro MUSUNGU (uomo bianco) poi ti chiedono What’s your name? E cosi dopo qualche giorno senti chiamare il tuo nome da ogni angolo e baracca. E’ una sensazione strana e bellissima, è in quei momenti che ho iniziato a realizzare la mia presenza a Soweto. Anche gli adulti che incontri per strada sono cordialissimi, ti salutano e se gli chiedi come va, di sicuro ti rispondono MSURI, che in Swahili vuol dire “tutto bene”! E mi chiedo come sia possibile…..

Non hanno elettricità, non hanno acqua in casa, quando piove sguazzano nel fango però vivono con dignità nelle loro baracche tenute pulite e in ordine e sorridono sempre.

Ho trascorso 18 giorni a Soweto, e in questo periodo, seppur breve, ho avuto modo di conoscere alcune famiglie. Accompagnata dalla maestra dell’asilo, sono andata a far visita alle famiglie dei bambini sostenuti dal “progetto asilo” e ho conosciuto le loro mamme e i fratellini. Ho parlato con loro cercando di capire come vivono, se lavorano e se i bimbi frequentano la scuola. Ho cosi avuto la possibilità di constatare di persona la realizzazione dei progetti e di come seriamente vengono portati avanti dai responsabili e dai volontari. Ho inoltre intervistato le mamma del “progetto PMTCT” (Preventing Mother-To-Child-Transmission), il progetto che si occupa delle mamme sieropositive e della cura dei loro bambini affinché non venga trasmessa loro la malattia. I bambini vengono seguiti e monitorati dalla nascita fino ai primi anni di vita. Molte donne sostenute da progetto a loro volta collaborano e aiutano altre donne e bambini in difficoltà. Tutte, nonostante la malattia e la povertà, ti accolgono con cordialità e ospitalità nelle loro baracche.

18 giorni sono pochi per capire, ma probabilmente non basterebbero nemmeno alcuni mesi; sono però sufficienti a farti pensare. E’ stata una esperienza di condivisione molto forte, il ritorno alla “vita normale” non è facile, sento ancora il suono dei tamburi la sera, l’odore forte delle latrine, il colore rosso della terra e vedo sempre i mille sorrisi dei bambini per strada, che chissà mai se un giorno rivedrò. Questo è stato il mio ferragosto in Africa. Un ringraziamento doveroso e sincero all’associazione L’Africa Chiama che mi ha dato la possibilità di vivere questa esperienza e di fare delle ferie estive davvero indimenticabili.

Anita Manti - Baraccopoli di Soweto - Kenya - Agosto 2007

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