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Articolo di Marie, volontaria in Servizio Civile Universale Tanzania

Appena si scende dalla collina di Iringa ci si trova nel quartiere di periferia Ipogolo. Nonostante si trovi solo a pochi chilometri di distanza dalla città è già tutto un altro mondo. Inizia con lo stand dei autobus, daladala e bajaji. C’è sempre un grande via e vai, tra bajajari che cercano clienti, autobus in partenza e…. gente che ti vuole vendere un po’ di frutta o cercare di convincerti che proprio oggi è la giornata perfetta per fare un viaggio lungo. Proseguendo alla destra si intravede il baracchino di plastica blu, in cui Mama B ti aspetta per pranzo per il wali nyama più buono di Ipogolo. Pochi metri da lì inizia il terreno della scuola elementare con un grande campo in cui il pomeriggio si vedono bambini giocare a calcio con una palla di cartacce improvvisata. Nella scuola si sente un gran vociferare, ci sono più di mille alunni tutti con l’uniforme verde che si ammucchiano intorno ai banchi di scuola.

Nell’edificio accanto si trovano le cosiddette classi speciali per bambini con disabilità. In quell’ambiente segregato dal resto della scuola c’è anche un nostro focal point, in cui facciamo riabilitazione, fisica e cognitiva, con i bambini disabili e le loro mamme. L’affluenza a Ipogolo è tanta: la mattina vengono le mamme con i bimbi più piccoli, poi il pomeriggio arrivano anche gli alunni più grandi delle classi speciali a fare esercizi ed a giocare. Ci sono Junior, Celina, Upendo affetti da paralisi cerebrale, Moses che arriva frecciando con la sua sedia a rotelle e Johnson che dopo scuola viene sempre con il suo gran sorriso a darti almeno un abbraccio.

Continuando dall’altro lato della strada si entra nella Ipogolo più viva, non ci sono strade ma solo vicoli su vicoli, battuti dai passi della gente. È facile perdersi, sembra che non ci sia un senso, case costruite a caso dove c’era un po’ di spazio, nei punti rimanenti qualche piante di mais e verdure.
Con le visite domiciliari del progetto Kipepeo spesso mi ritrovo in queste case.Case in cui non ci vive solo una famiglia, ma quattro o cinque. Ognuno ha solo una stanza che funge contemporaneamente da stanza da letto, salotto e cucina.

La cucina consiste solo in un piccolo fornelletto di carbone, per cui le mura delle stanze sono spesso annerite dalla cenere. Sono situazioni difficili: i padri molte volte sono assenti, gironzolano per la città, si ubriacano, stanno via per lavoro oppure non ci sono mai stati. Quindi le mamme si ritrovano a dover crescere i figli da sole con tutte le difficoltà annesse. Più volte mi sono ritrovata con una mamma ubriaca di prima mattina. Ma come rimproverarle? In un contesto così è più facile stordirsi con l’Ulanzi, liquore locale che costa pochi centesimi a litro, invece di affrontare la cruda quotidianità.

Quelli che ne risentono maggiormente sono i bambini che sono costretti a diventare adulti prima del dovuto e ricoprire il ruolo di madre per i fratellini più piccoli. Per fortuna in queste case condivise c’è un forte spirito di comunità ed aiuto reciproco. Le donne si sostengono a vicenda, c’è sempre qualcuno che può guardare i più piccoli se tu devi andare in città, è normale che il figlio della tua vicina condivida il pasto con il tuo e ci si ritrova sempre nel cortile a condividere il bello e il brutto delle giornate. Infatti quando andiamo in queste case non conosciamo solo la mamma, ma anche tutte le sue vicine che incuriosite ti si avvicinano per una chiacchierata.  Ipogolo è veramente un mondo a sé, ma mi piace molto nonostante tutto. È grezza e dura, non si nasconde dietro ad un benessere apparente, il che la rende più autentica e vera.

Marie Franziska Moeller, volontaria in Servizio Civile Universale in Tanzania

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